Redazionale

L'uomo che lavora

Data pubblicazione: 19/01/2021 - Ultimo aggiornamento: 28/05/2022
Categoria: News - Autore: Monica Amato

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Si può far coincidere l’inizio del lavoro umano, in era Preistorica, durante la quale, l’uomo ha acquisito e manifestato sorprendenti capacità tecniche, superiori a quelle di tutti gli altri animali popolanti il nostro pianeta, a cui si sono contestualmente associate anche particolari attitudini psico-fisiche, derivanti da un sempre maggiore coordinamento fra cervello, mani, occhi e linguaggio.

Karl Marx (1818-1883) filosofo, economista, storico, sociologo tedesco, sosteneva che: “il lavoro è ciò che distingue l’uomo dagli altri animali perché fa di lui un essere capace di produrre da sé i propri mezzi di sussistenza”.

Non è quindi possibile analizzare la storia e l’evoluzione delle civiltà umane, senza tenere in considerazione anche l’evoluzione delle molteplici attività lavorative svolte dall’uomo ed il significato ad esse attribuito, che ha delineato nel corso degli anni anche la condizione sociale connessa.

Infatti, in tutte le civiltà più antiche ed evolute, il lavoro era disprezzato dagli uomini liberi e di alto lignaggio, essendo esclusivamente affidato agli schiavi, tanto è vero che il significato originario di questa parola, messo in luce dalle diverse etimologie, si concentra su aspetti a forte connotazione negativa; il termine latino “labor” da cui deriva la parola “lavoro”, può essere tradotto come: fatica, sforzo, pena, disagio, travaglio, disgrazia.

La svolta per l’uomo che lavora, può farsi risalire all’epoca Medioevale durante la quale, oltre alla immutabile presenza del ceto sociale dei “Servi della Gleba” la cui esistenza era legata, per tutta la vita, alle terre del Signore del Feudo, emergono anche altre importanti figure, rappresentate principalmente da artigiani e mercanti.

Con l’affermarsi di tali attività, appartenenti alla nascente società Borghese, si rende necessaria una riorganizzazione dell’assetto lavorativo, modificandosi, di conseguenza anche il concetto attribuito al lavoro stesso, che non viene più inteso esclusivamente come sforzo fisico per la coltivazione della terra ma, come acquisizione di capacità manuali elevate, correlate ad altrettante abilità e competenze imprenditoriali.

Il lavoro, quindi, non è più sinonimo di schiavitù e l’uomo che lavora acquista la sua dignità di individuo libero.

Qualche anno più tardi, tra Seicento e Settecento, si assisterà, allo sviluppo capitalistico che, a sua volta, sarà caratterizzato dalla figura del lavoratore subordinato, ovvero di un individuo che, pur mantenendo la propria singolarità, personalità e libertà, sarà alle dipendenze di un mercante o di un artigiano.

Successivamente, con la Rivoluzione Industriale, il modello del Lavoratore subordinato andrà via via ampliandosi e consolidandosi, fino ad assumere le caratteristiche specifiche dell’ ”Operaio” cioè del lavoratore salariato che svolge la propria attività nelle emergenti fabbriche; questo comporterà necessariamente lo svolgimento dell’attività in ambienti fisici comuni e una rivoluzione contraddistinta dalla differenziazione  in specifiche mansioni oltre che dall’organizzazione del lavoro in turni.

Tra Ottocento e Novecento, infatti, la figura del Lavoratore Subordinato Salariato, leggasi Operaio, acquisisce un tratto ed una caratterizzazione sempre più specifica e definita, tanto da determinare una modifica irreversibile del concetto di “lavoro” che, per utilizzare una citazione del prof. Vegetti, storico della filosofia, inizia ad essere  inteso come: “erogazione da parte dell’uomo di una forza produttiva che, al tempo stesso è trasformatrice e creatrice, questa idea del lavoro come forza e come energia, si collega chiaramente allo stile dell’epistemologia ottocentesca, centrato sui grandi concetti di forza ed energia che dominano la fisica, la termodinamica, l’elettromagnetismo, e tutte le scienze traenti…”

Nei decenni successivi il concetto di lavoro diviene, dunque, sinonimo di elevata socializzazione grazie, sia ad una sempre crescente aggregazione negli ambienti comuni, che al forte ed inarrestabile inurbamento, comportante la nascita e la diffusione di strutture residenziali contigue alle fabbriche, determinanti una quasi fusione tra ambienti di lavoro e luoghi di vita extralavorativa.

Si viene inoltre a delineare una nuova cultura del lavoro che vede nell’attività retribuita la misura della differenziazione sociale ed il mezzo che garantisce la sicurezza della sopravvivenza.

A questo punto dovrebbe essere chiaro che l’organizzazione del lavoro rappresenta il modo con cui, da sempre, l’uomo è stato capace di mantenere in vita sé stesso e far progredire le diverse società, favorendone, in tal modo, lo sviluppo tecnologico e la diffusione dello stesso.

Per rapportarci ai giorni nostri, a partire dal nuovo millennio, a seguito della globalizzazione dell’economia, si è assistito ad un mutamento radicale nella organizzazione del lavoro che ha dato luogo alla nascita di una moltitudine di mansioni specifiche, ovvero ad una pluralità di azioni connesse alla peculiare e concreta attività produttiva. È proprio alla luce di questa differenziazione dei cicli lavorativi che si è basata la nascita della disciplina: “Medicina dal Lavoro”, la cui funzione ed i cui protagonisti saranno oggetto di successive accurate e dettagliate descrizioni.

Per ora basti pensare che la Normativa Europea prevede, per qualsiasi ciclo lavorativo, la presenza di un Medico del Lavoro di riferimento, tale figura viene definita in gergo comune “Medico Competente” la cui attività, nel corso degli anni è andata via via intensificandosi e perfezionandosi al punto da rendere necessaria l’informatizzazione di tutti i processi che lo vedono attivo e di cui parlerò in modo approfondito nei prossimi articoli.

 

Bibliografia

  1. Sartorelli E. (1981): Trattato Di Medicina Del Lavoro Ed: Piccin
  2. Penso G. (1991): La Medicina Medioevale Ed: Ciba Geigy
  3. Vegetti M (1981): Ergastulum: il luogo dove si lavora. In lavoro=liberare il lavoro o liberarsi dal lavoro? supplemento al n. 24 de “Il Manifesto” 24/2/1981.
  4. Marx K. (1886): Il Capitale Ed. Feltrinelli
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