Redazionale

Lo stress da lavoro correlato

Data pubblicazione: 12/03/2021 - Ultimo aggiornamento: 28/05/2022
Categoria: News - Autore: Staff Ambimed

Lo stress da lavoro correlato

Il codice penale definisce la molestia sul lavoro come "l'atto di molestare un'altra persona con atti ripetuti con lo scopo o l'effetto di degradare le condizioni di lavoro suscettibili di ledere i suoi diritti e la sua dignità, di pregiudicare la sua salute fisica o mentale o di compromettere la sua capacità lavorativa".

A partire dal gennaio 2011 è obbligatorio per le aziende italiane effettuare la valutazione dello Stress da Lavoro Correlato e ripeterla ogni tre anni. Il mancato adempimento comporta per il datore di lavoro sanzioni pecuniarie e penali importanti.

Le linee guida suggeriscono l’uso di questionari e check-list per la valutazione del grado di stress al quale sono sottoposti i lavoratori.

Nonostante questo obbligo di valutare lo stress in azienda, la superficialità di verifica, dovuta spesso alla mancanza di tempo o alla necessità di controllare i costi, impedisce di rilevare situazioni di forte disagio e di rischio sia per il lavoratore che per l’azienda stessa.

Marie-France Hirigoyen, psichiatra psicoterapeuta esperta in vittimologia, ha svolto numerose ricerche sullo stress nel posto di lavoro e descrive così alcune dinamiche tipiche. Tratto dal suo libro “Molestie Morali”:

“Lo stress sul lavoro e il costo economico delle sue conseguenze sulla salute rimangono fenomeni poco quantificati. Lo stress non viene riconosciuto né come malattia professionale, né come causa diretta di sospensione del lavoro; eppure i medici del lavoro e gli psichiatri constatano un aumento dei disturbi psicosomatici e dell’abuso di alcol o psicofarmaci, legati alla pressione eccessiva del lavoro.

Tale pressione dovuta molto spesso a mobbing o a cattivi rapporti in azienda, spinge i dipendenti a chiedere di essere messi in malattia per lunghi periodi. La mancata cura e attenzione a questi fenomeni di fatto non aiuta il lavoratore ad uscire da tale stato precario con notevoli conseguenze sulla produttività aziendale.

Prosegue la Hirigoyen,

La disorganizzazione di un’azienda è sempre fonte di stress, che si tratti di una cattiva definizione dei ruoli (non si sa chi fa cosa, chi è responsabile di cosa), di un clima organizzativo instabile (una persona ha appena ricevuto una nuova qualifica e non si sa se la manterrà) oppure ancora di una mancanza di concentrazione (le decisioni vengono prese senza l’accordo delle persone interessate). La pesantezza di alcune amministrazioni o di aziende molto gerarchizzate consente a certi individui avidi il potere di accanirsi contro altri individui impunemente. Alcune aziende sono degli “spremilimoni”. Fanno vibrare la corda affettiva, utilizzano il loro personale chiedendo sempre di più. Quando il lavoratore, sfruttato, non rende più abbastanza, l’azienda se ne sbarazza senza stare a pensarci sopra. Il mondo del lavoro è estremamente manipolatore.

In questi casi infatti la gestione poco organizzata e in taluni casi poco “illuminata” permette a persone poco preparate o con concetti di fatto poco attenti alle esigenze dei sottoposti, di rendere l’ambiente di lavoro tossico. Basterebbe quindi che il management gestisse con più attenzione e apertura mentale, determinate situazioni potenzialmente critiche.

Anche se, in linea di principio, la sfera affettiva non entra direttamente in gioco, non è raro che per motivare il proprio personale un’azienda instauri un rapporto che va molto aldilà del normale rapporto contrattuale che si può avere con il proprio datore di lavoro. Si chiede ai dipendenti di impegnarsi anima e corpo nel loro lavoro in un sistema che i sociologi hanno definito “managinario” trasformandoli così in “schiavi dorati”. Da un lato si chiede loro troppo, con tutte le conseguenze di stress che ne derivano, dall’altro non c’è riconoscimento alcuno dei loro sforzi e della loro persona. Diventano pedine intercambiabili. Del resto, in certe aziende si fa in modo che gli impiegati non restino troppo lungo nello stesso posto, dove potrebbero acquisire troppe competenze. Gli si mantiene in un perpetuo strato di ignoranza, di inferiorità. Ogni forma di originalità o di iniziativa personale è fonte di disturbo. Si spezzano gli slanci e le motivazioni, rifiutando qualunque responsabilità e qualunque formazione. Gli impiegati vengono trattati come scolaretti indisciplinati. Non possono ridere o avere l’aria rilassata senza essere richiamati all’ordine. Qualche volta si chiede loro di fare autocritica nell’ambito di riunioni settimanali, trasformando così i gruppi di lavoro in pubblica umiliazione.

L’autrice riflette infine sulla capacità degli istituti di formazione di trasmettere l’importanza del “capitale umano” e della salvaguardia dello stesso. Si domanda quindi quanto spazio è dato allo studio delle criticità emotive che possono nasce in azienda.

Ad aggravare questo processo interviene il fatto che oggi molti di loro sono sottoccupati e hanno un livello di studi equivalente o addirittura superiore rispetto a quello del loro superiore gerarchico. Questi deve allora aumentare la pressione fino al punto che il dipendente non possa più tollerarla o che finisca con il mettersi da solo dalla parte del torto. Le sollecitazioni economiche fanno sì che si chieda sempre di più ai lavoratori, con sempre minore considerazione. Vi è una svalutazione della persona e delle sue capacità. L’individuo non conta. Poco importano la sua storia, la sua dignità, la sua sofferenza 

Quando lo stress si manifesta con il suo corteggio di insonnia, fatica, irritabilità e il dipendente non di rado rifiuta l’interruzione di lavoro che il medico gli propone per paura di rappresaglie al suo ritorno.”

La psicologa ha descritto in modo efficace delle dinamiche comuni ma difficilmente identificabili con una valutazione basica e superficiale. Gli studiosi suggeriscono infatti, soprattutto in aziende orientate alla vendita e al conseguente “obbligo al rendimento”, di effettuare ricerche mirate a scoperchiare qualsiasi situazione di abusi psicologici, spesso taciuti per timore di ritorsioni. Tali valutazioni vanno condotte in modo capillare, da specialisti attenti e formati, per un tempo sufficientemente diluito per consentire le adeguate verifiche. Un’attenta valutazione dello stress da lavoro correlato deve necessariamente aiutare il datore di lavoro a disinnescare e risolvere situazioni di rischio o focolai di insoddisfazione o conflitto presenti in azienda.

Non dimentichiamo infatti che un lavoratore sereno e soddisfatto andrà al lavoro più motivato e sicuramente più produttivo apportando enormi vantaggi, a sé stesso e all’azienda stessa, in termini di produttività e presenza.

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