Redazionale

Long Covid e disturbi cognitivi

Data pubblicazione: 19/01/2023
Categoria: News - Autore: Alberto Tomasi

Long Covid e disturbi cognitivi

L’importanza della vaccinazione contro il Covid-19

La vaccinazione contro il Covid-19 è importante non solo per prevenire la malattia, ma soprattutto per ridurre le complicazioni più gravi e, nelle persone più fragili, anche la morte. La raccomandazione per tutti è quella di praticare il ciclo primario di due vaccinazioni e poi continuare a mantenere la protezione con una terza ed anche una quarta dose di vaccino. Un richiamo vaccinale (booster) è raccomandato anche per tutti coloro che hanno avuto l’infezione da Covid-19: è possibile effettuare la vaccinazione dopo quattro mesi dall’infezione per essere ancora più protetti.

Tutti gli over 60 e le persone fragili si devono proteggere con una quarta dose di vaccino, questo anche perché da settembre 2022 è disponibile il nuovo vaccino bivalente (Original/Omicron) particolarmente efficace contro la variante Omicron, che è quella che sta circolando maggiormente.

Recenti studi confermano che i disturbi a lungo termine associati all’infezione, caratterizzati da un quadro di sintomi definito Long Covid, sono meno frequenti nelle persone vaccinate.

Cos’è il Long Covid

Si definisce Long Covid l’insieme di sintomi (non solo respiratori), di disturbi e complicazioni multiorgano che possono persistere anche dopo molte settimane dalla guarigione dall’infezione da Covid-19. Interessa quasi una persona su due risultata positiva al Covid-19 e può prolungarsi per mesi.

Si parla di Long Covid quando i disturbi persistono oltre le quattro settimane, nonostante la negativizzazione del tampone per Covid-19. Tra i sintomi più frequenti vi sono stanchezza, brain fog (nebbia mentale o nebbia cognitiva), problemi di memoria e/o di concentrazione, perdita dell’olfatto o del gusto, sintomi cardiologici e respiratori, disturbi neurologici, ansia e stress. Non è ancora chiaro se tutti questi disturbi siano un effetto diretto del danno provocato dal virus contro uno o più organi o dalla risposta immunitaria innescata sempre dal virus, ma poi rivolta contro organi e tessuti come avviene nella reazione autoimmunitaria, quando gli anticorpi attaccano il proprio organismo. L’età avanzata, il sesso femminile, l’obesità e l’ospedalizzazione sono fattori che favoriscono il rischio di sviluppare il Long Covid.

I disturbi cognitivi

Con il procedere della pandemia da Covid-19 è diventato sempre più chiaro come molti pazienti sperimentino il Long Covid.  
Dal punto di vista psicologico e cognitivo, sono stati riportati diversi sintomi: grave affaticamento, dolore, fragilità cognitiva. In particolare sono evidenziati numerosi sintomi neuropsichiatrici, come l’ansia (13%), la depressione (12%), disturbi del sonno (11%) e sintomi cognitivi quali disturbi dell'attenzione (27%), e della memoria (16%) che vengono oggi denominati Neurocovid e che possono persistere anche dopo molte settimane dalla guarigione dall’infezione.
Non è ancora chiaro se il virus possa interessare direttamente l’encefalo oppure se i sintomi neurologici possano dipendere da cause non specifiche e indirette come, per esempio, infiammazione sistemica e interventi medici come la ventilazione). Nel complesso, i domini cognitivi spesso alterati sono quelli relativi alle funzioni esecutive (processi di pianificazione, controllo e coordinazione dell’attenzione, problem solving, metacognizione), attenzione (soprattutto durante compiti complessi, come gestire più informazioni contemporaneamente o passare da un’occupazione ad un’altra) e memoria.
A tal proposito si parla spesso di brain fog (nebbia mentale o nebbia cognitiva) per descrivere questa condizione di obnubilamento, persistente stanchezza e riduzione dell’efficienza mentale.
I risultati preliminari dell’indagine sono stati pubblicati su Frontiers con lo scopo di valutare le differenze cognitive e sequele psicologiche di Covid-19 tra giovani e anziani guariti valutati entro 1 mese dall'ultimo test negativo.
I risultati confermano che la cognizione è influenzata negativamente dalla durata di ricovero, corroborando i precedenti risultati che hanno mostrato effetti dannosi del ricovero sulla cognizione.
I risultati hanno mostrato come inaspettatamente gli effetti psicologici negativi della pandemia di Covid-19 colpiscano in particolare gli individui più giovani di età inferiore ai 65 anni che lamentano di sperimentare difficoltà cognitive maggiori nella vita quotidiana dopo l'infezione. Inoltre, la presenza di reazioni post traumatiche da stress dei giovani adulti è confermato dalla presenza di sintomi neurologici legati al virus, dall'intensità delle cure ricevute e dall'intubazione durante il ricovero.
Gli individui con più di 65 anni, invece, sembrano soffrire di meno delle conseguenze dovute al Covid-19, seppure mostrino punteggi inferiori nei test di attenzione, di memoria e di ragionamento.
Una possibile spiegazione è che i più giovani sono meno abituati a sperimentare la malattia rispetto agli anziani che risulterebbero più resilienti nell’affrontare la pandemia. È inoltre possibile che non solo l'infezione stessa, ma anche le restrizioni sociali, e tutti gli sconvolgimenti della routine quotidiana abbiano colpito principalmente i soggetti più giovani, piuttosto che anziani, che ora stanno pagando le conseguenze maggiori della pandemia, comprese quelle cognitive.
Ciò conferma come in generale gli effetti dell’isolamento, con i cambiamenti della routine quotidiana e la riduzione di stimoli emotivi, sociali e fisici, hanno rappresentato un detonatore per l’incremento rapido di disturbi neuropsichiatrici nella popolazione, in particolare quella più fragile.

Un altro lavoro recente in corso di stampa è volto ad indagare i sintomi di disagio psicologico nei pazienti guariti dal Covid-19. Questo studio presenta un elemento di novità rispetto a quanto attualmente mostrato da ricercatori nazionali ed internazionali.
I dati, infatti, mostrano come i partecipanti allo studio con alti indici di riserva cognitiva (CRI), ovvero con elevata istruzione, con un lavoro che comporta un certo grado di impegno e di responsabilità personale, con interessi cognitivamente stimolanti e svolgimento di  attività di  carattere intellettuale (ad es. lettura di libri, mostre, concerti, conferenze), sociali e sportive (ad es. volontariato, sport di ogni genere) e ricreative (ad es. viaggi di più giorni o attività artistiche), subiscono in misura minore gli effetti psicologici traumatici della pandemia.
Invece, i partecipanti con basso indice CRI, hanno mostrato una maggior frequenza di sintomi post traumatici.
Con Cognitive Reserve (CR) si indicano le differenze individuali non nell’anatomia, ma nelle modalità con le quali vengono elaborate le informazioni (fra queste l’efficienza e la flessibilità delle reti neurali). Tali modalità permettono una migliore capacità di far fronte al danno cerebrale.
Ciò attesta che condurre uno stile di vita attivo e più ricco di stimoli può fungere da fattore protettivo sulla salute psichica e cognitiva.

Fonti:

aopd.veneto.it/Long-Covid-aspetti-psicologici-e-cognitivi

Bruno Biagianti et al. Cognitive Assessment in SARS-CoV-2 Patients: A Systematic Review

Risk and protective factors of psychological distress in COVID-19 patients: the role of cognitive reserve, Devita&Di Rosa et al., 2022

Cognitive and Psychological Sequelae of COVID-19: Age Differences in Facing the Pandemic”, Devita et al., 2021

Trovi questo articolo interessante? Condividilo sui social
Progettazione e sviluppo a cura di TECNASOFT