Redazionale

Una fetta di anguria?

Data pubblicazione: 25/07/2022
Categoria: News - Autore: Dott.ssa Maddalena Maganza

Una fetta di anguria?

Una delle cose che nell’immaginario collettivo più rappresenta l’estate è una bella fetta d’anguria fresca: solo a pensarci si prova sollievo dalla canicola di questa estate spietata.

Eppure, anche un alimento così comune può nascondere dei pericoli di tipo biologico, in particolare da contaminazione di microrganismi patogeni, che ci impongono di osservare particolare cautela, specialmente quando siamo in viaggio, magari in vacanza in una meta tropicale. Non dimentichiamoci infatti che il protocollo della sicurezza alimentare HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Points, l’insieme di protocolli utilizzati per evitare la contaminazione degli alimenti) non è comunemente applicato al di fuori dei confini dell’Unione Europea.

L’anguria, o cocomero, (Citrullus vulgaris) è una pianta erbacea della famiglia delle Cucurbitacee, originaria dell’Africa, dove veniva coltivata già 5.000 anni fa. Come noi, anche i Faraoni amavano l’anguria, come è testimoniato in vari geroglifici. E piaceva così tanto che ne sono state rinvenute tracce nelle loro tombe, come cibo da portarsi durante il viaggio nell’aldilà.

La polpa dell’anguria è apprezzata per le proprietà dissetanti: è costituita dal 95% di acqua e quindi fornisce un apporto calorico molto ridotto pur appartenendo alla categoria merceologica della Frutta Zuccherina insieme a meloni, banane, cachi e fichi.

Dal punto di vista dei componenti chimici, l’anguria si caratterizza per una abbondanza relativa di zuccheri, e una ridotta presenza di acidi organici, una composizione che le dà il caratteristico sapore gradevolmente dolce. Ma proprio per questo motivo, a differenza di altri tipi di frutta, l’anguria è molto poco acida (infatti ha un pH compreso tra 5,2 e 5,8). È proprio questa caratteristica chimico-fisica che la rende potenzialmente pericolosa per il consumatore.

L’anguria, per le sue dimensioni, ci viene servita già affettata: se non correttamente processata, da attraente e goloso alimento può trasformarsi nel terreno ideale per il proliferare di colonie batteriche e provocare una vera e propria intossicazione alimentare.

Tagliando il frutto si danneggia la sua protezione dall’esterno, rappresentata dalla buccia, la barriera naturale che isola la parte commestibile dall’ambiente. Se le angurie non vengono lavate adeguatamente prima di tagliarle, se i coltelli utilizzati non sono perfettamente puliti o, non ultimo, se le mani di chi le lavora non sono correttamente igienizzate, la polpa può venire contaminata da agenti patogeni. Se poi, come spesso vediamo nei buffet dei ristoranti o, peggio ancora, sulle bancarelle o nei chioschetti per strada o sulle spiagge, le fette tagliate non vengono conservate in frigorifero, le alte temperature contribuiscono ad aumentare la proliferazione dei microrganismi che le hanno eventualmente inquinate.

Sulla superficie della buccia o nell’ambiente esterno, infatti, possono essere presenti batteri fortemente patogeni come Salmonella, Listeria o Escherichia coli, che in grado di contaminare la polpa.

Le malattie dell’anguria

Questi microrganismi amano gli ambienti ricchi di zuccheri, ma non sopravvivono negli ambienti acidi (questo è il motivo per cui uno dei metodi di conservazione degli alimenti più classici è il “sott’aceto”): Salmonella spp. si sviluppa a pH maggiore di 3,8, Listeria monocytogenes a pH maggiore di 4,3 ed Escherichia coli a pH maggiore di 4,5.

La salmonella è l’agente batterico più comunemente isolato in caso di infezioni trasmesse da alimenti, sia sporadiche che epidemiche. Le infezioni provocate da salmonella si distinguono in forme tifoidee, (Salmonella typhi e Salmonella paratyphi, responsabili della febbre tifoide e delle febbri enteriche in genere), e forme non tifoidee, causate dalle cosiddette salmonelle minori (come Salmonella typhimurium e la Salmonella enteritidis), responsabili di forme cliniche a prevalente manifestazione gastroenterica.

L'infezione la Listeria monocytogenes, la listeriosi, può manifestarsi sotto due forme: la forma tipica delle tossinfezioni alimentari, che si manifesta nel giro di poche ore dall’ingestione, che provoca diarrea e la forma invasiva, detta anche "sistemica", che dall'intestino passa nel sangue e si diffonde nell'organismo, arrivando al sistema nervoso, dando vita a encefaliti e meningiti e forme acute di sepsi. In questo secondo caso tra l’ingestione del cibo contaminato e la manifestazione dei sintomi può passare un mese (ma in alcuni casi si può arrivare anche a tre mesi).

Alcuni ceppi di Escherichia coli producono una potente tossina responsabile di gravi forme morbose nell’uomo e hanno la capacità di aderire e colonizzare la mucosa intestinale. La manifestazione clinica varia dalla diarrea acquosa, alla colite emorragica e alla Sindrome Emolitico Uremica (SEU). Quest’ultima è la manifestazione più grave delle infezioni da Escherichia coli e colpisce soprattutto i bambini.

Il frutto proibito?

Questo vuol dire che dobbiamo rinunciare a mangiare anguria? Sì e no. È vero che le sue caratteristiche la espongono ad alcuni rischi per la salute, per cui è importante prestare cautela nell’acquisto, la preparazione e la conservazione. Se non siamo sicuri della provenienza della frutta è meglio evitare l’anguria già affettata (questo vale in particolare per chioschi e venditori ambulanti). Per quanto riguarda l’anguria intera, possiamo proteggerci lavandola con acqua sicura (a patto che mani e coltelli siano a loro volta puliti) e se necessario possiamo utilizzare anche un disinfettante. Per evitare la proliferazione di eventuali patogeni possiamo poi conservarla in frigorifero.


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