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Storia del vaccino antivaiolo

Data pubblicazione: 28/10/2021 - Ultimo aggiornamento: 02/06/2022
Categoria: News - Autore: Dott.ssa Chiara Dall'Asta

Storia del vaccino antivaiolo

Il vaiolo è una malattia che ha accompagnato l’umanità per un lunghissimo periodo. Gli studi genetici hanno permesso di posizionare il passaggio di specie, da piccoli roditori all’essere umano, tra i 10.000 e i 50.000 anni fa. Abbiamo trovato cicatrici di vaiolo su mummie di faraoni risalenti al 1570 a.C. e testi indiani e cinesi di più di 3000 anni fa contengono descrizioni della malattia. La prima epidemia registrata risale al 1350 a.C., ma molte altre l’hanno seguita nella lunga storia del vaiolo, fino al 1980, anno in cui l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) l’ha dichiarato ufficialmente eradicato.

Si tratta di una malattia contagiosa di origine virale che nel 30% dei casi risulta fatale. È caratterizzata dalla presenza di pustole su tutto il corpo, che lasciano spesso cicatrici deturpanti dopo la guarigione ed p da queste che deriva il nome della malattia: variola in latino è traducibile appunto con “pustola”. Essendo una malattia virale, non esistono trattamenti specifici e l’utilizzo di antibiotici non risulta essere efficace: l’unica vera protezione dal vaiolo è la vaccinazione.

Data l'eradicazione della malattia, la vaccinazione obbligatoria è stata sospesa a partire dagli anni ’70 e ’80 in tutti i Paesi. In Italia, la vaccinazione è stata sospesa nel 1977 e definitivamente abrogata nel 1981. Ad oggi esistono ancora degli esemplari del virus, conservati per motivi di studio in condizioni di massima sicurezza in due laboratori, uno in Russia e uno negli Stati Uniti.

Il vaiolo ha avuto un ruolo fondamentale nella storia della medicina: contro il vaiolo si sono concentrati i primi tentativi dell’umanità di ottenere l’immunizzazione senza provocare la malattia. Prima, con la tecnica della variolizzazione, sviluppata nella Cina medievale e che prevedeva l’esposizione di soggetti sani a fluidi e croste di malati lievi, e poi con la realizzazione del primo vaccino della storia nel 1976.

Variola major e Variola minor

Causata dal Variola virus, del genere Orthopoxvirus, la malattia appare in due principali forme. La più comune è quella causata dal ceppo del virus Variola major che si manifesta con febbri elevate e con la comparsa di pustole ulceranti su tutto il corpo. Esistono quattro tipi di vaiolo di questo genere:

  • Forma ordinaria (che costituisce più del 90% dei casi);
  • Forma modificata, i sintomi sono lievi e a volte si sviluppa su persone preventivamente vaccinate;
  • Forma piatta (detta anche maligna);
  • Forma emorragica, raro ma molto grave.

Meno pericolosa, con una mortalità sotto l’1%, è la forma di vaiolo causata dal ceppo Variola minor. Chiamata anche alastrim, dal portoghese alastrar, che significa diffondersi, presenta in forma decisamente meno grave lo stesso quadro clinico del vaiolo classico.

La manifestazione e il decorso

Il periodo di incubazione della malattia, durante il quale non si manifestano sintomi, dura da 7 a 17 giorni. In questo periodo raramente avviene contagio, che invece comincia alla comparsa dei primi sintomi (febbre, malessere, emicrania, dolori muscolari e talvolta vomito). Questa fase può durare da 2 a 4 giorni ed è caratterizzata da ipertermia anche importante. Successivamente, compare una eruzione cutanea molto caratteristica fatta di piccole macchie rosse, ed è questo il periodo in cui i malati sono più contagiosi. La comparsa delle macchie può durare circa 4 giorni e comincia dalla lingua e dalla bocca. Quando le macchie della bocca si infettano diventando vere e proprie ulcere, nuove eruzioni cutanee interessano tutta la pelle, a partire dalla faccia fino alle braccia, le gambe e poi le mani e i piedi. Solitamente l'intero corpo viene ricoperto di macchie nel giro di 24 ore. Quando compare l'eruzione cutanea, la febbre scende e il paziente inizia a sentirsi meglio. Nel giro di 3 giorni, però, le macchie si trasformano in vescicole purulente. Contemporaneamente la temperatura sale di nuovo e rimane alta finché le pustole non cicatrizzano, diventando crosticine che cominciano a squamarsi e si staccano.

Nel giro di 3 o 4 settimane dalla comparsa dei sintomi, la maggior parte delle pustole si è seccata e comincia a staccarsi dalla pelle, lasciando su di essa una cicatrice profonda, nota come butteratura. La fase di contagio cessa con la caduta di tutte le crosticine.

Altri vaioli e la scoperta scientifica

Oltre al virus del vaiolo umano, esiste anche il virus del vaiolo bovino (Cowpox virus), il virus del vaiolo della scimmia e il virus vaccinico (Vaccinia virus). Proprio quest’ultimo fu utilizzato per la prima volta dal medico inglese di campagna Edward Jenner, nel 1796, per la formulazione del primo vaccino propriamente detto, antivaioloso. All'epoca la malattia stava avendo in Europa un incremento allarmante: nel 1753 a Parigi morirono di vaiolo 20.000 persone; a Napoli nel 1768 ne morirono 60.000 in poche settimane e ogni anno a causa del virus Variola l'Inghilterra contava 40.000 decessi. Jenner si accorse che le donne addette alla mungitura, che frequentemente contraevano il vaiolo bovino, difficilmente venivano colpite da quello umano. Per dimostrare la sua teoria, Jenner provò a vaccinare un bambino di 8 anni (la leggenda vuole che fosse il figlio) con siero proveniente da pustole di vaiolo vaccino e poi lo infettò con il vaiolo umano, verificandone l’immunità.

Questo rappresenta il primo caso documentato di prevenzione attiva di una malattia, anche se erano già stati fatti altri tentativi di immunizzazione.

Nel tardo ’600 infatti Lady Montagu, moglie dell’ambasciatore inglese a Costantinopoli, aveva promosso anche in Inghilterra la pratica della vaiolizzazione, secondo un’usanza già diffusa in Oriente. La stessa pratica era stata introdotta anche in Italia dai medici greci e sostenuta da papa Benedetto XIV che cercò di diffonderla nello Stato Pontificio. La vaiolizzazione consisteva nell’iniettare un po’ di pus prelevato da un malato in via di guarigione, in un soggetto sano provocando il vaiolo. Spesso però questa pratica era letale. La scoperta di Jenner risolse il problema, anche se fu avversata dagli ambienti ecclesiastici e conservatori perché considerata un insulto al creatore, data la commistione tra animale e uomo. Con il prevalere delle idee libertarie, negli anni successivi alla Rivoluzione francese, la vaccinazione divenne una pratica generalizzata.

Luigi Sacco e la diffusione della vaccinazione in Italia

In Italia, fu Luigi Sacco (1769-1836) a diffondere la vaccinazione jenneriana. Medico della Repubblica Cisalpina, nato a Varese, laureato a Pavia e primario dell’Ospedale Maggiore di Milano, alla fine del 1799 vaccinò sé stesso e poi cinque bambini con il pus raccolto da due vacche affette da cow-pox. A distanza di tempo, verificò l’avvenuta immunità sua e dei vaccinati con l’innesto di vaiolo umano.

Nel 1806 Sacco riferì di avere fatto vaccinare o vaccinato personalmente nei soli Dipartimenti del Mincio, dell’Adige, del Basso Po e del Panaro più di 130.000 persone. In breve, i vaccinati del Regno d’Italia giunsero a un milione e mezzo, riducendo drasticamente la mortalità da vaiolo. Il vaccino si diffuse in breve anche nel Regno delle due Sicilie. A Unità d'Italia avvenuta, la vaccinazione antivaiolosa fu resa obbligatoria per tutti i nuovi nati a partire dal 1888.

Il successore del Variola major: il vaiolo delle scimmie

In seguito all’eradicazione del virus, abbiamo assistito a un aumento della diffusione di uno degli altri virus del genere Orthopoxvirus, il Monkeypox virus responsabile del vaiolo delle scimmie, che è oggi la forma di vaiolo più diffusa al mondo.

Individuato per la prima volta nel 1970 nella Repubblica Democratica del Congo, è oggi presente in 11 Paesi dell’Africa centrale e occidentale: Benin, Camerun, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Gabon, Costa d'Avorio, Liberia, Nigeria (dove è in corso la più grande epidemia, con oltre 700 casi dal 2017), Repubblica del Congo, Sierra Leone , e Sud Sudan. I focolai tendono tipicamente a concentrarsi in prossimità delle foreste pluviali tropicali, anche se negli ultimi anni stiamo assistendo a un maggior numero di casi nelle zone urbane.

Il quadro clinico della malattia è analogo a quello del vaiolo classico, per quanto molto meno grave (il tasso di mortalità si è aggirato storicamente attorno al 10%, anche se oggi è più spesso tra il 3 e il 6%). Con un’incubazione di 7-14 giorni, che può però anche andare dai 5 ai 21, i sintomi si manifestano in un primo periodo che dura fino a 5 giorni, caratterizzato da febbre, mal di testa, dolori muscolari, mal di schiena e rigonfiamento dei linfonodi. La seconda fase inizia dopo 1-3 giorni dall’inizio della malattia e si manifesta con un’eruzione cutanea che si concentra tipicamente sul viso e sugli arti.

Come per le altre forme della malattia, anche il vaiolo delle scimmie non è curabile, ma tende a risolversi spontaneamente in 2-4 settimane. Sappiamo però che il vaccino per il vaiolo classico è efficace all’85% contro questa forma della malattia e può essere impiegato in situazioni di emergenza per limitarne la diffusione, come sta accadendo in questi giorni nel Regno Unito.

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Fonti:

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