Redazionale

Tecnostress: la “malattia da computer”

Data pubblicazione: 09/06/2022
Categoria: News - Autore: Staff Ambimed

Tecnostress: la “malattia da computer”

Per quanto l’idea che il repentino avanzamento delle tecnologie informatiche (ICT, information and communication technologies) abbia delle conseguenze sulla salute mentale delle persone sul luogo di lavoro fosse stata esaminata già all’inizio degli anni Ottanta, quello di “tecnostress” (versione italianizzata dell’inglese technostress) è un termine che appare per la prima volta nel libro Technostress: the human cost of computer revolution dello psicologo Craig Brod, pubblicato nel 1984, in cui viene definito come il “disagio moderno causato dall’incapacità di reagire alle nuove tecnologie informatiche.”

Decenni di studi hanno messo in luce la fondamentale importanza di affrontare gli effetti avversi derivanti da una inevitabile (e in costante mutamento) esposizione alle ICT, che permea ogni aspetto della vita nel XXI secolo – in particolare nel mondo del lavoro. La moltiplicazione degli schermi e dei canali di comunicazione ha eroso sempre di più il confine tra vita privata e lavorativa, siamo sempre più dipendenti da una tecnologia che diviene sempre più sofisticata e richiede competenze sempre più complesse, con rapide trasformazioni delle modalità lavorative (basti pensare agli effetti della pandemia di Covid-19 e gli adattamenti che ha richiesto nel momento in cui è stato necessario attivare progetti di telelavoro su larga scala).

Cause e prevenzione

Il modello più completo per la comprensione del tecnostress è stato definito nel 2008 in uno studio condotto da T.S. Ragu-Nathan e colleghi. Questi, infatti, hanno proposto un modello per la comprensione del tecnostress, identificando alcuni technostress creators (tecnostressori), i quali influenzerebbero la soddisfazione lavorativa, l’organizational commitment e la continuance commitment del lavoratore:

  • Techno-overload: le ICT moderne consentono ai lavoratori di gestire simultaneamente flussi di informazione da fonti diverse, permettendogli di lavorare più velocemente e più a lungo, ma al di sopra di quelle che sono le loro capacità; in questo modo si sentono “sovraccaricati” e non sono capaci di porre dei limiti rispetto alle informazioni in entrata;
  • Techno-invasion: la capacità delle ICT di rendere la persona sempre reperibile impedisce di separare il lavoro dalla vita privata; ciò porta a sperimentare sentimenti di non essere mai liberi da queste tecnologie e che il loro tempo e il loro spazio siano stati invasi;
  • Techno-complexity: i continui aggiornamenti delle ICT le rendono sempre più difficili da imparare ad utilizzare, obbligando i lavoratori a spendere gran parte del loro tempo nel tentativo di padroneggiarle; di conseguenza, la percezione che le ITC da utilizzare siano complesse può far scaturire nei lavoratori un senso di avversione, paura ed ansia;
  • Techno-insecurity: questi continui aggiornamenti che consentono alle ICT di cambiare rapidamente possono portare i lavoratori a sentirsi minacciati da queste, a causa delle quali temerebbero di perdere il proprio lavoro perché sostituiti da nuove ICT o da colleghi che ne hanno una maggiore padronanza;
  • Techno-uncertainty: i continui cambiamenti delle ICT, inoltre, possono creare nei lavoratori insicurezza per la necessità di aggiornamenti sempre richiesti da queste che, oltre ad essere un processi delicati poiché comportano la presa di decisioni rispetto alla configurazione e alla modificazione delle stesse, successivamente i lavoratori potrebbero riscontrare comunque problemi relativi alla poca documentazione, agli errori dei programmi, alla perdita dei dati e alla mancanza di un adeguato supporto tecnico.

Accanto a questi, sono stati identificati anche alcuni inhibitors (moderatori e inibitori), che possono ridurre (e in alcuni casi inibire) il tecnostress laddove l’esposizione ai tecnostressori è inevitabile.

  • Supporto organizzativo e tecnico: la possibilità di training e assistenza rispetto all’utilizzo delle nuove ICT, in particolare durante i primi giorni, può aiutare a ridurre il tecnostress; può essere d’aiuto anche includere i lavoratori durante le fasi di implementazione e pianificazione della tecnologia;
  • Centralità della tecnologia: se l’utilizzatore percepisce le ICT come parte integrante e fondamentale dell’attività lavorativa, migliorando così le prestazioni lavorative, allora possono essere viste come meno stressanti;
  • Autoefficacia tecnologica: più si scelgono compiti adatti alle proprie competenze e ci si sforza nel raggiungimento di un obiettivo, più aumenta l’autoefficacia percepita, maggiore sarà la spinta a misurarsi con dei compiti complessi.

In aggiunta a questi inibitori, la prevenzione passa da un processo di “rallentamento”, di distaccamento volontario dal caos generale provocato dalla connessione continua. Questo può includere una riduzione del multitasking, evitare o ridurre l’uso di dispositivi elettronici nel tempo libero, stabilire dei periodi della giornata “digital-free” (come ad esempio prima di andare a letto), spegnere tutti i dispositivi non utilizzati, stabilire con il datore di lavoro delle limitazioni specifiche relative all’uso di tecnologie.

I sintomi del tecnostress

Gli effetti del tecnostress sulla persona possono arrivare a essere soverchianti, spesso perché caratterizzati da una forte soggettività e non individuati per tempo, degenerando fino ad avere seri effetti sullo svolgimento delle attività quotidiane, oltre che sull’operatività aziendale (con influenze sull’impegno dedicato, la soddisfazione sul lavoro e alti tassi di assenteismo e turnover).

In generale, possiamo dividere i sintomi in due gruppi principali: quelli fisici e quelli mentali. Tra i sintomi fisici troviamo:

  • insonnia e disturbi del sonno;
  • disturbi gastrointestinali;
  • mal di testa;
  • fatica cronica;
  • aumento della frequenza cardiaca;
  • disturbi cardiovascolari;
  • formicolio agli arti;
  • sudorazione;
  • dolore cervicale;
  • disturbi ormonali e mestruali nelle donne;
  • disturbi della pelle legati allo stress (psoriasi, dermatite).

Tra i sintomi psichici:

  • irritabilità;
  • depressione;
  • cambiamenti comportamentali;
  • diminuzione del desiderio sessuale;
  • crisi di pianto;
  • apatia.

Tecnostress per il datore di lavoro

I rischi del tecnostress possono, come abbiamo visto, essere considerevoli, con un impatto fondamentale sulla qualità della vita del lavoratore, a un livello tale che, in una sentenza del 2007 a seguito di un’indagine sul lavoro nei call center, la Procura di Torino lo ha incluso nelle malattie professionali. Ha fatto seguito una presa di posizione netta dell’INAIL nel 2014, riconoscendolo come malattia professionale “non tabellata”, in cui è il lavoratore a dover dimostrare che l’origine dello stress è dovuta all’attività lavorativa.

Per questo motivo, il tecnostress rientra nella categoria delle sindromi dello stress da lavoro correlato, uno degli elementi da valutare al fine della sicurezza sul lavoro ai sensi del D.Lgs 81/08, il Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro. È in particolare l’art. 28 a obbligare i datori di lavoro a valutare questo rischio per individuare i fattori di stress e trovare soluzioni che possano ridurlo, prevenendo conseguenze dannose alle persone e alle aziende:

“La valutazione di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a), anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o delle miscele chimiche impiegate, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’Accordo Europeo dell’8 ottobre 2004 […]”

Le sanzioni in caso di inadempienze nei diversi momenti della valutazione non sono da trascurare e possono arrivare ai €6400 di multa e ai 6 mesi di carcere:

  • Omissione della valutazione dello stress lavoro correlato nella compilazione del DVR. Sanzioni previste: ammenda da 2,500 a 6,400€ e, nei casi più gravi, l’arresto da 3 a 6 mesi;
  • Valutazione dei rischi da stress da lavoro svolta senza l’effettiva presenza del RSPP e del medico competente. Sanzioni previste: ammenda da 2,500 a 6,400€ e, nei casi più gravi, l’arresto da 3 a 6 mesi;
  • Redazione del DVR incompleta: mancano le opportune misure di prevenzione o il programma di procedure da attivare, anche in riguardo allo stress da lavoro. Non sono riportati i riferimenti dei ruoli all’interno dell’organizzazione che vi debbono provvedere. Sanzione: ammenda da 2,000 a 4,000€. (art.28, comma 2 lett. b, c, d del Dlgs n. 81/2008);
  • Mancato inserimento nel DVR dei criteri per l’analisi della valutazione del rischio stress lavoro correlato o mancata inserimento di mansioni che possono esporre i lavoratori al rischio di stress da lavoro. Sanzione: ammenda da 1,000 a 2,000€, a seconda della gravità della mancanza.(art. 55 comma 4 del Dlgs n. 81/2008);
  • Mancata consultazione del RLS (Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza) nella redazione del Documento di Valutazione del Rischio stress. Sanzione: ammenda da 2.000 a 4.000€ (art.29, comma 2 del Dlgs n. 81/2008);
  • Mancata formazione sufficiente e adeguata anche in merito a rischi legati a stress da lavoro, ai possibili danni e alle conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezione. Sanzione: ammenda da 1.200 a 5.200€ e arresto da 2 a 4 mesi. (art.37, comma 1, 7, 9 e 10 del Dlgs n. 81/2008).

Si tratta, in ultima istanza, di una delle grandi fonti di malessere della nostra epoca, una fonte che difficilmente smetterà di essere rilevante in un mondo in cui cambiamenti sociali e tecnologici avvengono con continuità e frequenza su una scala mai vista in precedenza.

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Progettazione e sviluppo a cura di TECNASOFT